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Channel: Dott. Mauro Michelini » art. 108 Tuir
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Cassazione: le sponsorizzazioni sportive sono deducibili come spese di rappresentanza e non come spese di pubblicità

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La sezione tributaria della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 08679/11 depositata il 15/04/2011, si è pronunciata in merito alla deducibilità delle spese di sponsorizzazione erogate dalle imprese a favore di società sportive o di eventi sportivi. Secondo la Suprema Corte, i costi in questione sono da qualificare come spese di rappresentanza in quanto l’impresa erogante, tramite la sponsorizzazione, intende accrescere il prestigio dell’impresa stessa senza però avere un immediato e tangibile impatto in termini di incremento delle vendite dei propri beni e/o servizi.

La sentenza della Cassaziane trova origine da una causa del 1990 che un’impresa avviò a seguito della notifica di un avviso di accertamento nel quale l’Ufficio delle imposte contestava l’inerenza e quindi la deducibilità dei costi di sponsorizzazione sostenuti e poi dedotti in dichiarazione dal contribuente.

Nello specifico, le squadre sponsorizzate si erano obbligate a mostrare sulle proprie divise da gioco e sui cartelloni pubblicitari dell’impianto sportivo, il marchio di due società facenti parte di un gruppo a cui apparteneva anche la società ricorrente.

In primo grado il ricorso era stato accolto e in secondo grado la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna aveva respinto l’appello dell’Ufficio. In Cassazione viene invece rivista la qualificazione delle spese di sponsorizzazione: anziché essere riconducibili nell’alveo delle spese di pubblicità (deducibili senza limitazioni qualora inerenti l’attività) come di fatto affermato nei primi due gradi di giudizio, la Suprema Corte ritiene che siano da considerare come spese di rappresentanza perché sostenute “per iniziative volte ad accrescere il prestigio e l’immagine dell’impresa ed a potenziare le possibilità di sviluppo“. Le spese di pubblicità, sempre secondo la Cassazione, sono invece quelle erogate “per la realizzazione di iniziative tendenti, prevalentemente anche se non esclusivamente, alla pubblicizzazione di prodotti, marchi e servizi, o comunque dell’attività svolta“.

Considerando i costi delle sponsorizzazioni sportive come spese di rappresentanza, viene ad esserne limitata la deducibilità fiscale ai fini IRES. Oggi è infatti previsto che, ai sensi del secondo comma dell’art. 108 Tuir, le spese in parola siano deducibili nel periodo d’imposta di sostenimento ma nei limiti previsti dal D.M. 19/11/2008 che sono determinati in funzione dei ricavi prodotti dalla gestione caratteristica (in sintesi identificabili nell’aggregato “A” del Conto Economico). Fino ad € 10.000.000 di ricavi, si possono dedurre spese di rappresentanza fino all’ammontare pari all’1,3% dei ricavi realizzati; per la parte eccedente € 10.000.000 e fino ad € 50.000.000, la percentuale diventa dello 0,5%; oltre € 50.000.000, il plafond di deducibilità si abbassa allo 0,1%.

Quindi, a titolo esemplificativo, se un’impresa realizza nell’esercizio ricavi caratteristici per € 20.000.000, qualificando le spese di sponsorizzazione sportive come spese di rappresentanza, potrà dedurre tali costi al massimo fino ad € 180.000: se ha sostenuto spese per € 150.000 le può dedurre interamente; se invece ha erogato spese per € 200.000, dovrà rendere indeducibile la differenza fra il plafond disponibile e l’importo effettivamente sostenuto (€ 20.000).

Infine, ai sensi dell’art. 19-bis1, lettera h), D.P.R. n. 633/1972, non è consentita la detrazione dell’IVA relativa alle spese di rappresentanza (eccezion fatta per gli acquisti di beni di costo unitario non superiore ad € 25,82). Ciò significa che per le spese in commento, seguendo la linea tracciata dalla Cassazione, non solo si verificherebbe una limitazione nella deducibilità del costo ai fini delle imposte sul reddito, come sopra descritto, ma si determinerebbe anche la totale indetraibilità dell’IVA applicata.

Nonostante la sentenza in commento abbia riguardato un caso abbastanza specifico e non comunemente riscontrabile (una società che sostiene spese di sponsorizzazione per pubblicizzare marchi di altre società all’interno dello stesso gruppo), può essere certamente utile tenere in considerazione i principi generali sul tema che la Cassazione evidenzia. Di fatto la Suprema Corte torna su posizioni già espresse negli anni ’70, esprimendo concetti che sembravano superati da giurisprudenza e prassi dagli anni ’90 in poi.

Alcuni principi ribaditi dalla Cassazione sembra siano da considerarsi nella generalità dei casi e non solo nell’ambito circoscritto del ricorso esaminato, come ad esempio la necessità di ricollegare in generale la pubblicità di un logo o di un marchio a dei prodotti specifici (beni o servizi) offerti dall’impresa, così da rendere evidente l’obiettivo di stimolare le vendite e non solo quello di migliorare il prestigio e l’immagine aziendale.

Non sembra tuttavia completamente condivisibile quanto affermato nella recente sentenza: pubblicizzare solo il nome di un’azienda potrebbe infatti essere inteso come pubblicizzazione dell’intera gamma di prodotti/servizi offerti. Il giudizio della Cassazione appare troppo rigido perché, fra l’altro, non considera il fatto che in molte altre situazioni, fuori dall’ambito sportivo, si hanno analoghe esposizioni di loghi e “banner” pubblicitari delle aziende, anche composti dal solo nome dell’impresa, senza che nessuno metta in dubbio le finalità pubblicitarie delle spese connesse, anche dal punto di vista fiscale.

In conclusione non si può che affermare che sarebbe opportuno un intervento del legislatore tributario che chiarisca e semplifichi la distinzione fra spese di rappresentanza e costi di pubblicità, eliminando l’attuale incertezza che può arrivare anche a frenare o quanto meno a modificare le scelte imprenditoriali nel mercato pubblicitario e delle sponsorizzazioni.


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